mercoledì 29 dicembre 2010

Diari della bicicletta – David Byrne – Bompiani – 19€


…Andare in bici a Istanbul? Sei impazzito? Sì… e no. Qui il traffico è piuttosto caotico e ci sono parecchie colline, ma negli ultimi anni le strade si sono fatte così congestionate che in bicicletta posso girare il centro più rapidamente di un automobilista, quantomeno durante il giorno. Come in molti altri posti, sono praticamente l’unico in bici. Sospetto che anche qui sia soprattutto una questione di status sociale: la bicicletta, in molti paesi, è sinonimo di povertà. Quando sono andato in giro per Las Vegas mi hanno detto che le uniche altre persone a usare la bici erano quelle che avevano perso tutto, probabilmente al gioco. Avevano perduto il lavoro, la famiglia, la casa e immagino anche l’automobile – l’onta peggiore per un americano. Per spostarsi non restava loro che la bicicletta. Temo che grazie all’attuale disponibilità di auto economiche un sacco di tizi in India e in Cina abbandoneranno la bicicletta il prima possibile in modo da poter diventare anch’essi eleganti e moderni guidatori d’auto.

Passo davanti a caffè pieni di gente intenta a giocare a backgammon e fumare narghilè. In un negozio di scarpe trovo alcune imitazioni di articoli griffati. I minareti delle moschee offrono comodi punti di riferimento. Amo questa città. Amo la sua ubicazione geografica – delimitata dall’acqua, dispersa su tre lembi di terra, uno dei quali è dove comincia l’asia. Il suo stile di vita, che pare mediterraneo, cosmopolita e tuttavia tinto dalla profonda storia mediorientale, è inebriante.

Di solito non mi allontano troppo dalle numerose strade che costeggiano il Bosforo e il mar di Marmara, evitando così le molte colline dell’interno. Di tanto in tanto vedo qualche vecchia casa di legno, e così non mi è difficile immaginare come dovesse essere questo posto prima che crollassero o venissero bruciate.

Brutti edifici moderni come icone religiose

Mentre vado in giro in bicicletta noto che i vecchi edifici – case di legno, palazzi in stile europeo del diciannovesimo secolo e costruzioni dell’epoca ottomana – stanno diminuendo. Ovunque mi volti vedo sorgere anonimi condomini di cemento. Mi chiedo come sia possibile che edifici e quartieri con una personalità così spiccata possano venir eliminati con tanta felicità. Cosa è passato per la testa a tutti quanti? Potrò forse ricordare un po’ troppo il principe Carlo, ma mi domando, com’ è possibile che nessuno veda quel che sta accedendo?

Lo stile internazionale, per usare la definizione del Museo d’Arte Moderna, è stati sfruttato in tutto il mondo come alibi per costruire strutture simili a bunker, atroci case popolari, smorti palazzi d’uffici, cadenti quartieri di case e uffici di cemento del Terzo Mondo. Mostruosità che in tutto il mondo hanno l’imprimatur della qualità perché scimmiottano, benché malamente, uno stile prestigioso. Perché questo stile ha attecchito ovunque? Perché, in ogni parte del mondo, splendide città vengono trasformate in un gigantesco labirinto di grigi laterizi svettanti, coperti da griglie di finestre identiche?

Forse, mi dico, tali strutture esprimono qualcosa. Qualcosa in più del bilancio in attivo di una società di costruzioni. Forse, oltre a essere facili ed economiche da costruire per l’impresa edile, esprimono anche un qualche genere di desiderio e aspirazione collettiva. Forse per molta gente simboleggiano un nuovo inizio, una rottura con tutte le costruzioni che li hanno fino a quel momento circondati. E soprattutto nelle città antiche, rappresentano una rottura con il passato storico…

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