giovedì 6 maggio 2010

Intervista a Stefano Zattera su Alphabetcity.it


Frammenti da Tokyo: intervista a Stefano Zattera

di Andrea Grieco


L'arte non si lascia annichilire: Zattera ci racconta la sua esperienza in Giappone e parla della sua mostra
"Tokyo, Frammenti. Impressioni Pop di una città Surreale"
by Stefano Zattera

È davvero eccezionale constatare come, nonostante il generale annichilimento intellettuale e il micidiale torpore che avvinghiano luoghi e figure che in Italia dovrebbero promuovere le realtà artistiche innovative e corroboranti, vi sia ancora qualche squarcio di ostinata e, proprio per ciò, tanto più necessaria riflessione espressiva. La mostra Tokyo, Frammenti. Impressioni Pop di una città Surreale di Stefano Zattera, che a partire dal 28 aprile fino al 29 maggio sarà ospitata nei locali dello Spazio Nadir, eccentrico ed eclettico negozio di barbiere di Vicenza, è la riprova di come la schiera degli esponenti della più genuina e inventiva scena nostrana sia ancora viva e capace di mettersi in gioco. L'ironia e il senso critico che permeano l'iridescenza dei lavori di Zattera, che continua nel suo smantellare e riassemblare il coacervo di immagini che vanno ad accumularsi nel caotico magazzino iconografico post-moderno, si confrontano questa volta con aspetti della vita quotidiana nipponica. Tele e acquerelli che tentano di carpire e ritrarre lo Zetgeist di un Giappone che, nonostante le pretese di un sistema globalizzato, rimane al contempo così lontano e così vicino; una cultura con la quale, però, confrontarsi continua dai tempi di Matisse e Degas a sottintendere il desiderio e la capacità di esplorare le potenzialità dell'osservazione, lasciandosi guidare da un'implacabile fascinazione.

Doveroso chiederti come sei arrivato a scegliere questo soggetto per la tua ultima serie di lavori...
Sono stato a Tokyo quest'estate. L'impatto visivo con questa metropoli ha superato le aspettative. Tecnologia, tradizione e cultura pop si fondono in una texture che riveste la città di un abito sgargiante. Una trama di corto circuiti culturali, di combinazioni che risultano surreali allo sguardo occidentale, educato alla settorialità dei generi. Ciò che ho spesso cercato di fare con i miei lavori è distorcere la quotidianità, destabilizzare l'attendibilità del reale. Nella capitale nipponica ho trovato situazioni, che avrei potuto rappresentare io, già belle e pronte, praticamente dei ready made. Non potevo lasciarmeli scappare.

Da molte tele questa sgargiante città è riprodotta come se vista da una vetrina o da una superficie riflettente; è così impossibile per noi occidentali ritrarla senza filtri o intermediazioni?
Volevo che queste visioni palesassero un'esecuzione occidentale. Ho cercato di adottare uno stile realista ma veloce. Una pittura idealmente eseguita dal vivo. Un realismo impressionista, la tecnica del plein air, della presa diretta, del reportage pittorico. Volevo rendere l'impressione occidentale di fronte a una cultura così diversa.

Sei sempre stato in grado di cortocircuitare prodotti appartenenti alla cultura di massa, ma fino a che punto è oggi possibile affermare, ad esempio, che supereroi come Ultraman, Spectraman et similia siano il frutto di una specifica realtà? Che significato acquista per te il concetto di “immaginario collettivo”?
Passeggiando per Tokyo ci si imbatte in molteplici situazioni in cui l'immaginario di manga e anime non decora semplicemente la realtà, ma entra a farne parte, uno sconfinamento dimensionale della cultura pop nella quotidianità. Facce di eroi su video grandi come pareti di grattacieli. Ragazzine vestite come personaggi degli anime fanno da strilloni nei negozi, furgoni con la carrozzeria sagomata a forma di pupazzo, feste tradizionali con gente vestita in kimono, da Biancaneve, da orsacchiotto, teloni di camion con gigantografie di scene di manga. Al mercato del pesce carretti a motore usciti da un film di fantascienza con alla guida personaggi teletrasportati dal medioevo, nel parco pubblico robot grandi come case a tre piani: a Tokyo la barriera che in Occidente separa il reale dal fantastico è quasi inesistente. Più che di immaginario collettivo, parlerei di immaginario quotidiano.

La tua nuova ispirazione ha dato vita a un quadro impressionante che ritrae il guerriero spaziale Gundam...
Lo scorso anno era il trentennale della casa di produzione del cartone animato e in un parco cittadino venne esposta per un mese la riproduzione in scala 1:1 dell'eroe metallico. Il giorno in cui siamo andati a visitarlo ricorreva una festività locale e la zona era sovraffollata di gente accorsa per assistere ai fuochi d'artificio. Mi trovavo tra la folla sotto al robot, impressionante per perfezione e cura dei dettagli; sono iniziati i giochi pirotecnici nel cielo e la testa del gigante d'acciaio ha cominciato a roteare, a emettere fumo dagli occhi e a lampeggiare. La sensazione apocalittica di battaglia finale contro le forze del male era molto, molto realistica. Non credo che in nessun'altra parte al mondo avrei potuto trovarmi in una scena del genere. Era doveroso immortalarla.

Una caratteristica di questi dipinti che colpisce già al primo sguardo è un'attenzione al dettaglio che lascia trasparire un piglio quasi fotografico; che il Giappone sia già sufficientemente straniante anche senza l'ausilio della fantasia?
Hai colto nel segno. Tutte le rappresentazioni di questa serie sono rigorosamente fedeli agli scatti fatti durante il viaggio. L'apporto creativo è avvenuto in fase di selezione dei ritagli di città dove l'irreale sembra prendere il sopravvento sul reale, scorci dove entità fantastiche sembrano aver trovato il varco dimensionale per invadere la quotidianità.

Nonostante tutto si percepisce che sotto i colori lussureggianti si annida qualcosa di inquietante. Da dove nasce questa sensazione?
Probabilmente si tratta di un virus che si annida tra le setole dei miei pennelli e che, anche quando "copio", la realtà riesce, mio malgrado, a contaminare la rappresentazione.
Tokyo by Stefano Zattera
Vista la tua predilezione per le teorie complottiste e le invasioni aliene, non è che le tue antenne ti segnalano una minaccia in questo atavico fascino che il Giappone esercita a livello planetario?
Nessun problema. Gli alieni sono già riusciti con il loro disegno millenario a creare le condizioni per cui l'uomo si autodistrugge lasciando loro il pianeta sfitto e ammobiliato. L'invasione della cultura giapponese (o meglio del modo giapponese di intendere la cultura) è una minaccia positiva che, se si concretizzasse veramente, non farebbe che svecchiare lo stantio mondo intellettuale occidentale, ancora così classista nei confronti delle forme espressive.

Di sicuro tu stesso hai nutrito la passione per qualche manga e serie animata famosa...
Come tutti quelli della mia generazione sono stato svezzato a pane e Goldrake. E poi dosi omeopatiche di Mazinga, qualche Daitarn, Gundam, Jeeg e Megalomen. Ma poi non ho più seguito molto gli anime né i manga stampati (quelli delle serie famose), che trovo troppo omologati stilisticamente. Certo, ho avuto modo di apprezzare autori giapponesi molto bravi e fuori dallo standard come Hideshi Hino, Masahi Tanaka o Jiro Taniguchi, ma non si può parlare di passione per i fumetti nipponici. Sono stato invece molto affascinato dalla disinvoltura dei giapponesi nel convivere con i personaggi di fantasia fuori dal video e dalla carta stampata.

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